parole al riparo dalla pioggia

Quindi: sono passati due mesi da quando abbiamo cliccato “pubblica”, e il nostro primo videogioco è comparso sulla pagina di Owof. Yuppi!

Siamo arrivatə alla fase di progettazione con anni di riflessioni (nostre e di altrə molto più bravə di noi) sulla necessità di collegare meccaniche e contenuti. Nella primissima fase abbiamo passeggiato per ore partendo dalle regole della jam e chiedendoci che storia le avrebbe giustificate (in questa fase LazyFox vi ha salvatə da diverse idee trashone). Una cosa era certa: ad Owof piacciono le storie intimiste e personali. Per entrambə la narrativa di genere è uno strumento potente per parlare di problemi interiori e di conflitti con l’esterno.
Man mano che le idee si sono inseguite, ci siamo resə conto che avremmo voluto prendere spunto non dai classici tropi dell’orrore, ma dalle leggende locali. Esistono già ottimi progetti che partono da storie ed elementi regionali per narrare esperienze che possono essere universali, horror e non (A Painter’s Tale: Curon, 1950; Anna; Wheels of Aurelia, l’attesissimo Saturnalia). Partire da orrori che conoscevamo ci ha permesso di presentare una storia un po’ diversa ma con una base già solida.

Le Andande è nato per una game jam internazionale. Per farci del male, abbiamo deciso che non avremmo usato una sola parola di testo. Per quanto sia plausibile che partecipando a una jam internazionale si conosca l’inglese, ci è piaciuta l’idea di creare qualcosa il più possibile comprensibile da chiunque. Possibile e non sicuro, perché comunque luoghi e tropi di riferimento sono di una cultura ben definita.
Per QueerWolf questa cosa è stata doppiamente stimolante, perché il suo background è da scrittricə, da persona che usa le parole costantemente. A distanza di settimane le cose imparate durante i giorni di creazione si riflettono ancora sul modo in cui si rapporta con le narrazioni. Eliminare totalmente il testo ha significato appoggiarci a due elementi: meccaniche e immagini.

Le immagini si sono prese la responsabilità di dover definire il cosa stesse accadendo. Nessunə di noi ha competenze grafiche, la nostra capacità di disegno è ferma alla terza elementare, e la scelta di ripiegare su delle foto è stata inevitabile. La combinazione di inesperienza, scarsità di tempo e materiali ci ha spintə spesso a dover riadattare sul campo quello che sulla carta sembrava perfetto, permettendoci di stupirci anche di una storia che in teoria già conoscevamo (e di superare l’imbarazzo davanti a passanti incuriositə da due tiziə in giro mostruosə per i parchi in piena notte).
In fase di post produzione abbiamo fatto riflessioni su altri elementi di espressività dell’immagine, lavorando in particolare sulla saturazione, cercando di evidenziare gli elementi centrali per la storia. Per chi ha dimestichezza con la fotografia tutto questo può sembrare banale, ma per due persone abituate a dire, scoprire il piacere del mostrare è stato insieme faticoso e illuminante (In un altro post LazyFox poi racconterà della “gioia” di dover adattare i modelli 3D trovati a queste riflessioni).
Nel loro dover narrare, le immagini sono state supportate dall’audio, e questo ha aperto altri problemi.
Sin da subito sapevamo che lə protagonista non doveva avere una connotazione di genere marcata. Chi gioca Le Andande dovrebbe avere l’occasione di immedesimarsi nella storia il più possibile, motivo per cui abbiamo immaginato il gioco in prima persona. Se con le immagini l’impegno principale è stato nel nascondere i pelazzi di QueerWolf, l’audio ci ha complicato le cose. Un pianto è sempre un pianto con un genere definito. Una corsa può essere coi tacchi o con scarpe piane (ad un funerale abbiamo escluso le scarpe da ginnastica per rispetto dellə nostrə più responsabili amichə). Nel caso del pianto abbiamo risolto la cosa puntando su un suono collettivo, su una chiesa piena di persone. Con le scarpe abbiamo barato, puntando più sul suono del passo. Per i progetti futuri però questo ci richiederà soluzioni nuove e più solide.

Se immagini e audio hanno narrato il cosa, le meccaniche si sono prese la briga di spiegare il come.
Quando si scrive, il come alla peggio può essere veicolato da uno spiegone. Liberarci delle parole ha significato pensare a modi che fossero espressivi nell’agire. Scegliere un labirinto ci ha permesso di rendere in modo simbolico la difficoltà del superamento di determinate esperienze. Il senso di inseguimento aumenta il valore drammatico (perché per quanto ci diciamo il contrario, le cose che non affrontiamo di e in noi continueranno a cercarci). L’aumento della difficoltà si lega a quello che sa chiunque cerchi di fare pace coi propri fantasmi: se iniziare è difficile, continuare fino ad arrivare in fondo è ancora peggio.
Le meccaniche ci hanno permesso anche di non caricare le immagini di troppi significati, cercando di portare comunque varietà: nella stazione chi ci circonda è un ostacolo, ma nella casa il senso di solitudine e irrealtà complica l’orientamento. Nel parco non è più ciò che vediamo a contare, ma ciò che sentiamo. Siamo vicinə alla fine, ed è sempre più chiaro che è una storia a due, una fuga.
Forse la cosa più difficile è stata trovare un equilibrio tra difficoltà e fallimento: all’inizio avevamo pensato di introdurre più situazioni da game over, ma lavorando sul gioco ci siamo resə conto che volevamo comunque lanciare un messaggio positivo. Per quanto doloroso, abbracciare il nostro passato è una soluzione sempre vincente.
E a proposito di difficoltà: in modi diversi conosciamo entrambə le complicazioni dell’essere non neurotipichə, e scegliendo un tema sensibile è stato ovvio mettere un trigger warning, e offrire almeno il minimo di informazione necessaria per dare supporto. Questo ci ha fatto correre forse il rischio di fare uno spoiler sui contenuti del gioco, ma la sicurezza di chi gioca viene prima di tutto. E siamo convintə che una buona storia rimanga una buona storia anche dopo uno spoiler.

Ora siamo qui pienə di nuove idee, e se non fosse per il maledetto LAVORO già avremmo iniziato a condividere qualcosa. Probabilmente ci divertiremo ancora un po’ con piccoli progetti prima di mettere le zampotte su un’idea grossa che abbiamo da molti mesi, soprattutto per affinare al meglio la comunicazione tra noi. Perché l’ultima cosa che abbiamo imparato è che per quanto ci conosciamo da anni sotto molti livelli, creare un progetto condiviso è qualcosa di totalmente diverso da quanto abbiamo fatto fino ad ora. Inaspettatamente, Le andande ci ha insegnato nuove cose su di noi e sul nostro rapporto.

Mentre le nostre teste creano e mescolano, vi mandiamo un abbraccione.

Alla prossima.

Owof.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *