Non sono lə tuə companion

Eccoti qui, benvenutə da QueerWolf ❤️

Oggi ti consiglio di metterti comodə, magari con un poco di cioccolata o qualcosa da sgranocchiare. Sarà un intervento più lungo del solito, e sono davvero felice di averti qui con me.

Attraverso questo post vorrei condividere con te un po’ di riflessioni su cosa renda unə PNG vivə, e prima ancora perché è qualcosa che ritengo fondamentale in un gioco, importante anche per lə PG e per chi gioca.

Spero di non scrive castronerie, e soprattutto spero che questo post ti stimoli a condividere con me idee, spunti e confronti vari, che da solə è dura migliorarsi.

Cominciamo.

Macarons e messaggini

Qualche settimana fa (qui), ti raccontavamo di come, tra le varie, siamo al lavoro su un progetto col nome in codice Macarons.

Una delle meccaniche che stiamo sviluppando per questo gioco è la presenza di un sistema di messaggistica istantanea sul modello di Whatsapp e Telegram. Un sistema che ha le sue dinamiche (più o meno sane), il suo linguaggio e la sua identità.

Non è certo qualcosa di nuovo, è centrale anche in videogiochi che ho giocato di recente (Boyfriend Dungeon, A normal lost phone, ValiDate etc.). Mi son resə conto però che in tutti questi modelli manca qualcosa che invece è importante per Macarons, ed è un senso di vitalità, di imprevedibilità che non viene da una ricreazione paro paro di un Whatsapp, ma dai comportamenti dell3 PNG. Nei giochi che ho citato il messaggio di unə PNG serve a raccontare la storia dellə PG, e il risultato è che il fatto che l’informazione arrivi tramite un messaggio ha solo un valore grafico, mentre narrativamente ha poco valore. Per lə PNG non cambia nulla, perché non deve esistere, deve solo servire i bisogni dellə PG.

Questa è una cosa su cui son in fissa da ben prima di cominciare a ragionare di narrazione per i videogiochi. Da bravə figliə di Meghna Jayanth, il fatto che l3 PNG siano al servizio dellə PG per me è un problema non solo narrativo, ma anche politico, sociale.

A normal lost phone

Perché l3 PNG devono essere viv3

Faccio una digressione necessaria: per me è assiomatico che narrare voglia dire collaborare alla costruzione degli immaginari collettivi, alla messa in discussione o conferma delle idee che collettivamente abbiamo su un determinato tema. Narrare è sempre un modo di vedere il mondo. Se faccio un 4X in modo acritico, non sto facendo un gioco “senza politica”: sto riconfermando che i valori dominanti del capitalismo e dello sfruttamento dell’altrə non sono per me un problema.

Dato che ritengo che fare politica significhi agire per realizzare un certo immaginario, la narrazione di fatto è sempre politica.

Il primo risultato di questa premessa è che tendo e tenderò a saltare abbastanza velocemente tra PG/PNG e persone “reali”, perché da frocia ho imparato che il modo in cui guardiamo noi e le altre persone ha un valore politico, e la narrazione anche in un gioco non può non tenerne conto (motivo 1312 per cui ogni videogioco è sempre politico)

Il secondo risultato è che trovare un modo per dare vita all3 PNG diventa per me centrale, perché è un atto non solo narrativo, ma politico.

(ok, se l’hai lì, prenditi un pezzettino di cioccolata ora ❤️)

PNG e catcalling

Una delle cose che non amo di molti media, è che alimentano questa idea che siamo al centro di un palcoscenico. È qualcosa che i social media hanno esasperato, ma non è nulla di nuovo: la letteratura, il cinema mettono da sempre un personaggio (maschile non a caso) o un ristretto gruppo di personaggi al centro della storia, se non della Storia.

Questa cosa mi stava sulle scatole sin da bimbə. Ogni storia che ho scritto credo è partita sempre da idee tipo: “Ok, questa è palesemente la cattiva del libro. Ma qual è la sua voce? Quali sono le sue motivazioni? Perché è arrivata a fare questo?”. Tipo che a dieci anni scrissi per mio fratello un fumetto dove Dracula spiegava che non è cattivo perché vuole essere cattivo, è che ha molta fame e un po’ di difficoltà a socializzare (come me a dieci anni).

I videogiochi non sono nati in un vuoto sociale, e per questo si portano dietro gli stessi problemi degli altri media. Come ha criticato ampiamente Meghna Jayanth, spesso ci portano nei panni del salvatore bianco cisetero: il mondo si piega alla nostra visione e volontà, e l3 PNG sono solo funzioni a nostra disposizione, soggett3 che passano l’eternità davanti a quella porta per dire la loro poco interessante frase o venderci h24 un elisir. Un tipo di sguardo non distante da quello che alimenta le app di dating o il catcalling: l’altrə esiste solo in nostra funzione. Questo è umiliante per l3 PGN, e tossico per lə PG.

“Volevo solo farmi i cavoli miei!”

Eppur si muove

Quindi: voglio che lə PNG/l’altrə viva a prescindere da noi e dallə PG. E visto che siamo tra belle personcine empatiche, possiamo estendere questo sguardo anche a animali, funghi, all’ambiente, alle risorse, alla tizia che gestisce il negozio di armi o al fattorino perso nei corridoi di un’ospedale. Altrə è una parola che raccoglie un insieme infinito di soggetti.

Se penso a cosa voglia dire essere viv3, le prime cose che mi vengono in mente sono l’avere obiettivi, motivi, bisogni, incoerenze, imperfezioni, il rifiutare qualcosa e desiderare qualcos’altro. Elementi che rimangono validi e importanti anche quando cozzano con gli obiettivi e i bisogni dellə PG, senza che per questo si divenga in automatico avversari.

Significa quindi che posso essere unə PNG testardə che non vuole il tuo aiuto, ed è giusto così: non sono qui per assecondare i tuoi desideri, né per rifornirti di XP (qui si apre il capitolo sull’uso del numero nei giochi, ma lo affronteremo in altra sede). O (come succede in Boyfriend Dungeon) iniziare a uscire con te e poi aver la libertà di dirti: “Ehi, insomma: sai che non mi va di avere una relazione?”.

Giochi che hanno agito in questo modo (80 days per fare un esempio) hanno generato critiche da parte di diversi giocatori (maschile non a caso) che hanno interpretato il non ottenere quello che si aspettavano da determinate loro azioni come una rottura del loro diritto alla agency.

Questa cosa da una parte racconta benissimo come vengano educate le persone AMAB e perché poi spesso non sappiano ricevere un “No”; dall’altra ci ricorda che cambiare i paradigmi di un gioco creerà sempre del malcontento, frustrazione, scombussolamento in chi gioca (e tu dirai “Per me non è un problema”, ma la mia vocina interiore che cerca sempre l’approvazione con questa cosa ci si scontra malissimo).

Un tema per domarli

Il conflitto più grosso lo provo verso il tema del gioco, della narrazione. È la cosa da cui parte ogni idea che propongo, attorno a cui ho costruito racconti, romanzi e ora giochi e prototipi.

Di base ritengo che il tema sia la chiave di volta di una storia ben fatta. Man mano che procediamo in un testo per la prima volta lo vediamo emergere attraverso le storie secondarie, i piccoli cenni di sottofondo, oggetti, colori. È la linea guida della storia.

Ma il tema riporta a uno sguardo centralizzato: nel quotidiano le vite delle altre persone seguono i propri temi e non quelli della nostra storia, o come ci insegna Thomas Ligotti, seguiamo tutt3 il nostro caos. Ricostruiamo il tema a posteriori, in prospettiva per dare senso a un caos che è mostruoso nella sua assenza di senso. Nel fare questa ricostruzione, leggiamo l3 altr3 come parte di un ruolo, funzionali alla nostra narrazione. Leggere una biografia è un modo facile per capire cosa intendo, ma qualunque scuola di scrittura ti dice che devi creare PNG che alimentino il tema e i conflitti del PG.

Un’eccezione interessante sono le narrazioni corali che metto al centro un evento raccontato da varie prospettive, accantonando l’idea di una verità (ci ritorno dopo). È un genere che apprezzo molto ma che è molto specifico, con suoi limiti e regole che lo rendono ad esempio inapplicabile a Macarons.

Quale può essere la soluzione? Rinunciare al tema? Crearne uno per ogni personaggiə? Prenderne uno ed esplorarlo con ogni personaggiə? Ogni soluzione ha i suoi problemi, e ancora non ho una risposta.

Thomas LaVitaE’PeggioDellaMorte Ligotti ed io facciamo gli anni assieme,
e abbiamo lo stesso ottimismo

E chi pensa allə PG?!?

(hai mangiato un altro po’ di cioccolata? 🍫)

Come scrivevo ennemila righe più sopra, stare al centro del mondo comunque non fa bene né a noi, né allə PG. La cosa più ovvia è: ma chi la vuole tutta quella pressione, rega? Davvero c’è qualcunə che vuole il peso del mondo sulle sue spalle?

Una prospettiva così centrata poi rimarca la pessima idea che la nostra società individualista e atomizzata sia l’unico modello pensabile, dove solo le azioni individuali possono risolvere problemi che sono strutturali. Non a caso i giochi finiscono per scaricare i problemi strutturali su un solo tipo di avversario, che è il boss. Ma non sconfiggi problemi radicati ammazzando un tizio X, così come non fermi la penuria d’acqua saltando una doccia.

Questa cosa fa male a tutt3 noi, è quella roba che o ci paralizza, o ci fa credere che se facciamo la raccolta differenziata ci spostiamo solo a piedi e mangiamo solo l’erbetta del campo di fianco a casa nostra allora il cambiamento climatico sparirà (e intanto le aziende continueranno a inquinare a manetta).

C’è un terzo problema enorme di questa centralità del PG: l’idea che ci sia un solo modo giusto di leggere una storia.

Sono dell’idea che la verità non sia una meta, ma un’ideale, un po’ come l’anarco-comunismo queer intergalattico glitteroso: qualcosa a cui sai che non arriverai mai, ma a cui tendere per migliorare te e il mondo che ti circonda. E che funziona solo se lo affrontiamo assieme, tra scambi e dialoghi e ascoltandoci, rimettendo costantemente in discussione quello che credevamo fosse un dato di fatto incontrovertibile.

Quando un gioco ti butta al centro di una storia e ti fa fare scelte che cambiano il mondo, il più delle volte lo fa ribadendo attraverso le conseguenze delle tue scelte l’idea che ci sia una sola o un paio di prospettive sensate. Che tu possa essere o unə renegade o unə paragon (sempre rispetto a qualcosa, spesso il sistema di valori che ci circonda da questo lato dello schermo). Che tu sia su un binario che non contempla tridimensionalità, né errori.

Se quindi è fondamentale rendere l3 PNG viv3, è altrettanto centrale portare lə PG ad essere unə pari tra l3 pari. Permettendole di essere fallibile, di poter capire, chiedere, comprendere quel mondo che non conosce. Poter ammettere di non conoscerlo, chiedendo aiuto.

Rompiamo le uova

Quindi, che fare?

Ci sono già ottimi esempi in giro, e riflessioni interessanti. Il modo in cui Meghna Jayanth si è approcciata a 80 days dovrebbe fare scuola.

Una cosa comune è suggerire di dare alla giocatrice scelte dal forte valore emotivo. E’ qualcosa che può aiutarci nel creare dilemmi etici per lə giocatricə, e quindi spingerlə a fare scelte tenendo conto del contesto, ma non risolve il problema della subordinazione dell3 PNG allə PG.

Mi incuriosisce di più l’idea di far sì (soprattutto a inizio gioco) che le scelte dellə giocatricə/PG fatte in contesti nuovi per l3 PG portino comunque a risultati negativi, anche quando sono fatte in buona fede. Un po’ come l’alleato che viene al Pride con il cartello “Sono a questa parata ma mi piace la patata”: possiamo avere le migliori intenzioni, ma se non conosciamo i bisogni dei soggetti con cui ci interfacciamo, non faremo mai nulla di buono per loro. Il problema di questa soluzione è che temo non regga bene se reiterata nel gioco, o in run successive alla prima.

Un’altra soluzione che ho in testa (e che viene da un personaggio di Boyfriend Dungeon) è il rifiuto: lə PNG rifiuta il tuo aiuto, la tua proposta. Rompe la tua aspettativa, il risultato più ovvio. Penso a molti dating sim, dove l’idea è quella di trovare la frase giusta da dire per infilarsi tra le braccia della PNG (con lo stesso approccio dei pick-up artist). Ecco, questa roba va ribaltata totalmente. C’è sempre il problema che chi gioca possa lamentarsi perché gli viene negata la sua agency ma, insomma, se l’idea è quella di riconoscere anche l’agency dellə PGN, il conflitto è inevitabile. Un gioco che fa questa cosa puntando sullo humor è Monster Camp.

Un piccolo sogno bagnato poi è quello di far sì che in un gioco corale esca di scena quellə che sembra il PG, così da creare uno sbilanciamento che rimetta al centro l3 altr3 PNG (e che cambi lo sguardo dellə giocatricə, almeno secondo la mia idea, perché da quel momento dirà “Ok, chi cazzo se ne andrà ora? Me le devo coccolare tutte per bene, ascoltarle per bene”).

In I was a teenager exocolonist mi ha colpito molto anche un certo tipo di eventi esterni che mi hanno fatto sentire piccolə e incapace di agire, intervenire. Più che dare vita all3 PNG, questo è un buon modo per ridurre le dimensione dell’ego del PG.

Ho l’impressione che per lo più siano toppe. Una cosa che sto facendo ora per Macarons, che è più un approccio di scrittura forse che non di game design, è trattare qualsiasi PNG come se fosse l3 PG, pensando anche a meccaniche di interazione ad hoc nella chat.

E soprattutto: sto cercando di imparare ad empatizzare con l3 PNG che creo (o trovo? o che mi trovano? Il processo di creazione è sempre una cosa strana), anche quando sono molto divers3 da me. Cerco di capire i loro perché, di non giudicarl3. Di non mettere in mezzo un pregiudizio che possa trasformare una gioco in una favoletta morale. Lasciare che esprimano le loro bellezze e bruttezze, affinché anche lə PG e la giocatricə possano esprimere le loro.

Ok, I was a teenager exocolonist ha anche altri meriti ❤️

Quindi

Quindi nulla, in realtà. Come dicevo all’inizio, vorrei che questo fosse più un dialogo che una lista di cose da fare. Mi farebbe piacere ricevere idee, consigli, ed esempi che a tuo avviso hanno fatto un buon lavoro per dare dignità all3 PGN, per rimetterl3 sullo stesso piano del PG. Per ricordare al PG che non è il centro del mondo, che il centro del mondo non esiste.

O al massimo, ricevere un po’ di cioccolata.

Se sei arrivatə fin qui, grazie per il tempo dedicato ❤️

Paws up!

owof.

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